DIFFERENZE DI GENERE, DOLORE E UTILIZZO DI FANS
Le differenze di genere nella percezione del dolore sono state un argomento di crescente interesse negli ultimi anni e conseguenti studi clinici hanno evidenziato che le donne dimostrano una maggiore sensibilità al dolore cronico (in molti casi più alta del 50-100% rispetto agli uomini) in particolare riferita a dolori cronici quale il mal di testa, disturbi dell'articolazione temporomandibolare (TMD), dolori catameniali, fibromialgia, sindrome dell'intestino irritabile e artrite.
Oltre a questa maggiore prevalenza in alcune forme di dolore cronico, gli studi hanno dimostrato che il sesso femminile risulta essere, in generale, maggiormente sensibile alla percezione del dolore: il 56% contro il 44% dei maschi e la differenza è ancora più evidente se vengono analizzate le diverse fasce di età, infatti, al di sotto dei diciotto anni, il 19,5% dei ragazzi lamenta un dolore cronico contro il 30,4 % delle ragazze. E lo stesso significativo divario si riscontra dopo i 65anni: il 23,7% degli uomini contro il 40,1% delle donne (1,2).
Al pari dell’età, esistono molti altri fattori che differenziano uomini e donne nella percezione del dolore, tra questi ricordiamo l'etnia, la cultura, la disabilità, l'umore, il sostegno sociale, la depressione, lo stato civile e la composizione della famiglia (3).
Esistono anche fattori biologici che contribuiscono alla diversa percezione del dolore: è sufficiente pensare agli ormoni sessuali, ai fattori genetici, alla reazione al dolore e al negativismo e ruoli di genere.
Partendo da un’analisi dei meccanismi biologici, ricordiamo che l'influenza degli ormoni sessuali rappresenta una causa significativa della variabilità del dolore nell’uomo e nella donna. Questo non è sorprendente data la diversa distribuzione degli ormoni sessuali e dei loro recettori nelle aree del sistema nervoso centrale e periferico associate alla trasmissione nocicettiva(4,5). Sebbene gli effetti dell’estradiolo e del progesterone sulla sensibilità al dolore siano relativamente complessi, il testosterone sembra avere un’azione di protezione nocicettiva. Infatti vi è un’associazione tra la diminuzione della concentrazione di androgeni e dolore cronico (6) così come l'utilizzo di ormoni esogeni aumenta la percezione del dolore (7). La sensibilità al dolore cambia durante il ciclo mestruale con un’aumentata sensibilità durante la fase luteale rispetto alla fase follicolare(8).
Ci sono evidenze che dimostrano come gli ormoni sessuali influiscano in maniera differente anche a livello corticale dove avviene l'elaborazione degli stimoli dolorosi(9-13), infatti un recente studio ha rivelato che le donne che assumono contraccettivi orali che contengono bassi livelli di testosterone hanno mostrato riduzione del dolore dovuta all'attivazione delle regioni cerebrali inibitorie (14).
Analogamente, esistono dei meccanismi psico-sociali che possono avere un ruolo importante nella diversa percezione del dolore tra uomini e donne, infatti, nei due sessi, sono diverse le strategie per affrontare il dolore: gli uomini hanno una maggiore tendenza alla distrazione, mentre le donne cercano il supporto sociale e una positiva autostima (15-18).
Due elementi che dimostrano di essere parte integrante della responsività al dolore sono il negativismo e l’autostima: il primo è un tipo di reazione al dolore che comporta una amplificazione e una continua rimuginazione delle informazioni relative al dolore, mentre l’autostima è tipica di quei pazienti che vivono nella convinzione di poter raggiungere l’obiettivo desiderato.
Un atteggiamento negativo nei confronti del dolore è associato con una maggiore sensibilità e disabilità e questo atteggiamento si è rivelato dagli studi essere più comune nelle donne che negli uomini anche se vi è sempre una importante predisposizione personale che favorisce questo tipo di reazione. Un minor livello di autostima può trovarsi associata con un più alto livello di dolore e di sintomatologia fisica. Gli uomini, al contrario, dimostrano una maggiore autostima che comporta una minore percezione del dolore e questo è stato anche dimostrato sperimentalmente con il “cold pressor test” (immersione del pollice in acqua a 4°C) (19).
Differenze legate ad aspetti culturali quali credenze stereotipate, possono giocare un ruolo importante nelle differenze di reazione al dolore tra uomini e donne, infatti la manifestazione del dolore è generalmente più accettata tra le donne, un effetto questo che può portare a maggiori segnalazioni di sintomi dolorosi rispetto agli uomini. Un altro studio che ha dimostrato l’effetto del condizionamento culturale, ha comparato la percezione del dolore tra israeliani e americani e ha dimostrato che gli israeliani, sia uomini che donne, manifestavano un ruolo più maschile dal punto di vista della sensibilità al dolore(20).
Nelle donne, a causa della maggior incidenza di malattie osteoarticolari e malattie infiammatorie croniche, è maggiore il ricorso a terapie con farmaci analgesici periferici come i FANS. Di conseguenza, è importante tenere a mente questi dati quando si viene in contatto con pazienti di sesso femminile, ricordando e spiegando alla paziente stessa la maggior probabilità di far ricorso a terapia antidolorifiche e quindi la necessità di evitare, o di utilizzare i FANS per il più breve tempo possibile e ai dosaggi più bassi efficaci.
Appare inoltre importante ricordare come la diagnosi di cardiopatia ischemica sia più difficile (presentazione più tardiva, sintomatologia atipica più frequente, maggior frequenza di patologie come il prolasso mitralico e la condrite costale, minor sensibilità diagnostica sia dell'ECG che dei comuni test di ischemia) e come queste possano sviluppare più facilmente complicanze legate ai trattamenti di rivascolarizzazione (età media più elevata, diametro delle coronarie minori). Di conseguenza, le limitazioni della nota 66 devono essere tenute particolarmente a mente nelle donne con diagnosi posta o sospetta di malattia aterosclerotica, anche perché le attuali linee guida delle società nazionali ed internazionali di cardiologia non impongono differenze nel trattamento della cardiopatia ischemica in base al sesso, sebbene le donne siano tendenzialmente meno rappresentate nei grandi trial clinici.
Per quanto riguarda le donne in terapia con estroprogestinici, soprattutto se con età maggiore di 35 anni, si ricorda come la concomitante associazione di ipertensione o fumo comporti già di per sé un aumentato rischio di sviluppare un infarto miocardico acuto: in tale popolazione l'attenzione all'uso dei FANS dovrà essere anche maggiore.
Appare ovvio quindi sottolineare come la prevenzione primaria rimanga il miglior modo per evitare complicanze legate alla cardiopatia ischemica e all'utilizzo dei FANS (con beneficio in entrambi i sessi!).
Per quanto riguarda l'insufficienza cardiaca e renale non esistono particolari differenze di genere in merito al trattamento medico della patologia primaria e all'uso dei FANS, se non la sopracitata maggior predisposizione femminile all'esperienza dolorosa. Anche in questa tipologia di pazienti sarà quindi buona norma sottolineare con particolare enfasi la cautela nell'assunzione nei FANS, onde evitare alterazioni pressorie, ritenzione idrica e il peggioramento della condizione di base con il rischio di scompenso della stessa. Sarà utile in questi casi ricorrere a terapie farmacologiche o fisiche alternative.
BIBLIOGRAFIA
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